L’unione Sarda – Dusty Kid, la mia musica live
Il più noto dei producer sardi a livello internazionale protagonista a Oristano del party per “Basstation”
Il nuovo album: un po’ ravey, un po’ melodic
«Immagina che ogni pezzo che suono sia una casa: utilizzo un software (Ableton live) che mi consente di ridurre in “mattoncini” ogni mio brano e poter assemblare questi mattoncini come più mi aggrada al momento. Ogni mattoncino può corrispondere alla linea del basso di un pezzo piuttosto che al vocal di un altro: puoi facilmente miscelarli tra di loro creando sempre qualcosa di diverso e unico». Usa questa immagine Dusty Kid – producer elettronico cagliaritano, al secolo Paolo Alberto Lodde, il più noto dei producer sardi a livello internazionale – per raccontare la performance live che ha presentato sabato all’Ovest Club di Oristano in occasione del party per il sesto anniversario di Basstation.
Quindi non un dj set dove proporre «cose altrui che mi divertano», ma un lavoro live in cui comporre e ricomporre frammenti di suoi pezzi all’interno di un percorso organico lungo i brani disseminati in diversi anni di produzioni, singoli e album, fin dagli esordi – poco più che ventenne – sotto la guida di Stefano Noferini. Si tratta della performance con cui riempie i club durante le sue tournée in giro per il mondo e che in Sardegna capita di ascoltare molto di rado. «È un live, quindi solo con musica prodotta da me, e dato che sono sempre in giro ho poco tempo a disposizione per lavorare in studio su materiale nuovo», spiega. «Quindi il live si aggiorna lentamente e non avrebbe senso proporlo nello stesso posto più di due volte all’anno: alla fine i brani sono quelli». Eppure, nonostante le date in giro lo tengano lontano dallo studio di registrazione, pian piano in questi mesi sta prendendo forma il materiale del secondo album, che darà un seguito al disco d’esordio ( A Raver’s Diary ) uscito un paio di anni fa per l’etichetta tedesca Boxer Recordings.
In linea di massima questo lavoro dovrebbe inserirsi in una linea di continuità con il precedente, orientato verso sonorità techno, ma più d’ascolto e meno da dancefloor. «Sarà un disco con una impostazione anni ’90, un po’ ravey, un po’ melodic, una sorta di versione in technicolor di A raver’s diary ». E senz’altro più psichedelico del precedente. «Suonabile per i dj, ma non concepito solo per il dancefloor. Le strutture sono più elaborate dei soliti tools da dj. Di produttori che sfornano centinaia di tracce al giorno ce n’è in abbondanza».
Il disco precedente si chiudeva con un brano pop, Nemur , che sembrava anticipare un interesse verso la melodia e la forma canzone. «L’elettronichetta da quattro soldi mi diverte, ma la sanno fare tutti e ce n’è troppa in giro», chiosa Paolo. «Il pop mi attira molto di più, ma è un giro in cui è difficile entrare. E poi non mi ci vedrei a fare concerti pop: per quanto sia stufo di fare serate, è molto più divertente suonare nei club in cui la gente balla».
Andrea Tramonte – L’Unione Sarda