Penguin Cafe – Rain Before Seven [Erased tapes]
Un senso di ottimismo permea il quinto album in studio dei Penguin Cafe, intitolato “Rain Before Seven”… non del tipo vanitoso o eccessivamente sicuro di sé, ma piuttosto un ottimismo spensierato e autoironico che riflette il carattere nazionale. Anche quando tutti gli indizi sembrano indicare il contrario, l’album si muove con la certezza che le cose andranno bene. Probabilmente.
Il titolo deriva da un vecchio detto sul tempo atmosferico, con la profezia che rima “bel tempo fino alle undici”, che lascia intravedere un lieto fine, a prescindere dalla scienza: “L’ho trovato in un libro e non l’avevo mai sentito prima”, afferma Arthur Jeffes, leader dei Penguin Cafe. “Ha sfumature lievemente ottimistiche e mi piace molto. Ultimamente è caduto in disuso, ma descrive i modelli meteorologici inglesi che arrivano dall’Atlantico”.
Dall’ampia evocazione onirica dell’apertura con ‘Welcome to London’, con il suo sornione omaggio a Morricone, al brano ‘Goldfinch Yodel’, autodefinito “un tambureggiare al maypole” nel finale, c’è un piacevole senso di serenità, sempre accompagnato da un sottofondo di esuberanza ritmica esotica. La gioiosità pervade tutto l’album, con un riferimento nel titolo al precedente lavoro del 2011, “A Matter of Life…”, l’ultimo album che terminava con una ellissi. Quel debutto dei Penguin Cafe rappresenta il ponte tra il leggendario Penguin Cafe Orchestra, guidato dal padre di Arthur, Simon Jeffes, e l’amato discendente, guidato da Arthur stesso.
Diventerà chiaro ascoltando “Rain Before Seven…” che i temi esplorati vanno oltre la semplice conversazione sul tempo. In un certo senso, è un diario sonoro scritto al di sotto del parapetto, in attesa che il pericolo si attenui. Jeffes, come molti di noi, si è trovato in lockdown nel 2020. La destinazione europea del COVID-19 fu l’Italia, dove lui e la sua famiglia si trovavano in quel momento, in un convento ristrutturato in Toscana, acquistato circa dodici anni fa insieme a sua madre, la celebre scultrice di pietra Emily Young. Ci potrebbero essere posti peggiori in cui rimanere bloccati durante la quarantena, come un’area collinare circondata da ulivi, anche se la famiglia si trovò ad affrontare le stesse paure e incertezze che gran parte del mondo fu costretta a fronteggiare.
Ecco perché i titoli spesso si riferiscono all’esperienza personale di questo periodo. “Galahad” è una celebrazione trionfante del cane amato da Arthur, morto all’età di 16 anni, scritta in un irrefrenabile tempo di 15/8, mentre “Lamborghini 754” prende il nome dal trattore di 40 anni che ha comprato per sua madre e che poteva vedere dallo studio mentre attraversava l’uliveto. Jeffes è il primo a riconoscere di aver avuto la fortuna di avere spazio per muoversi, un lusso che è stato negato a milioni di persone che vivono nelle città. Inoltre, la difficile situazione dei cittadini sembrava stranamente coincidere con una visione che il padre di Arthur aveva e che avrebbe ispirato il Penguin Cafe Orchestra.
La storia è questa: nel 1972, Simon Jeffes mangiò del pesce avariato durante una vacanza nel sud della Francia, il che gli fece avere delle allucinazioni: “Mentre ero a letto, ebbi una strana visione ricorrente”, disse in seguito. “Lì, di fronte a me, c’era un edificio di cemento come un hotel o un palazzo comunale. Potevo vedere dentro le stanze, ognuna delle quali era costantemente sorvegliata da un occhio elettronico. Nelle stanze c’erano persone, ognuna di loro era assorta… Jeffes riusciva a distinguere “apparecchiature elettroniche. Ma tutto era silenzio. Come se ognuno in quel luogo fosse stato neutralizzato, reso grigio e anonimo. La scena era, per me, di una desolazione ordinata”. L’antidoto a questa premonizione di un futuro stranamente familiare era il libero e spensierato Penguin Cafe “dove il tuo inconscio può essere semplicemente sé stesso”.